UN CUORE MISSIONARIO

In dialogo con Padre Raffaele Manenti

Le giornate dal 13 al 15 marzo hanno visto la presenza nel nostro Seminario Maggiore di Padre Raffaele Manenti, missionario del Pime (Pontificio Istituto missioni estere), dal 2019 consigliere dell’Istituto. La sua testimonianza è stata semplice ma allo stesso tempo ricca di stimoli per il nostro cammino verso il servizio presbiterale nella Chiesa di Torino.

Raccontaci qualcosa di te: quando hai capito che dovevi seguire il Signore sulla via del sacerdozio, e nello specifico nel carisma missionario?

Sono nato nel 1957, nelle montagne di Bergamo a Oltre il Colle. La mia vocazione si potrebbe definire “classica”. Ho fatto servizio in Parrocchia come chierichetto, poi sono entrato nel Seminario Minore del Pime a undici anni – erano anni di numerose vocazioni – con lo scopo di portare Gesù a chi non lo conosceva, scegliendo così la vita missionaria a quella diocesana.

Quali sono state le tue esperienze di missione?

Sono diventano prete nel 1982, dopo la Teologia a Monza. Il mio impegno missionario nasce già ai tempi degli studi attraverso l’apostolato nelle campagne. Diventato diacono, volevo andare in Thailandia, anche se ero disponibile a qualsiasi destinazione. Non partì subito, mi chiesero infatti di restare in Italia. Si presentò la possibilità di andare in Thailandia, e vi rimasi dieci anni. Mi chiesero poi di fare il rettore del Seminario in India, esperienza che durò dodici anni. Solo dopo tornai in Thailandia e vi rimasi per altri tredici anni. Successivamente, i miei superiori mi chiamarono di nuovo in Italia come padre spirituale nel Seminario Teologico Internazionale di Monza. Ho sempre vissuto questi cambi con grande libertà interiore, in spirito di obbedienza alla volontà del Signore mediata dai superiori: il Signore non ci lascia mai a piedi!

Puoi raccontarci qualcosa sulla missione in Thailandia?

La nostra missione in Thailandia nasce con lo scopo di creare un dialogo con il Buddismo. Questa missione fallisce però ben presto. Dopo tre anni dall’arrivo in Thailandia, i primi missionari intrapresero allora il “dialogo di vita”, inserendosi nella quotidianità degli abitanti del luogo. Dopo quarant’anni, un giovane missionario decise di studiare il Buddismo nella facoltà thailandese, e questo determinò la nascita di rapporti di amicizia con i monaci buddisti, aprendo così la porta a nuovi orizzonti di dialogo. In Thailandia i cattolici rappresentano una percentuale molto bassa della popolazione (300.000 persone, circa lo 0, 5%).  Quella del Pime non è l’unica presenza missionaria. Troviamo anche ben inserito il Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich. La missione del Pime in Thailandia ha portato negli anni diverse conversioni di adulti. Si stima in un anno la celebrazione di circa 3.000 battesimi di persone adulte. Resta invece aperta la grande sfida educativa per i giovani. Domina in Thailandia – soprattutto nelle città – il mercato della droga e quello della prostituzione di ogni genere. La pastorale giovane è molto in crisi e resta legata alle scuole. Il catecumenato degli adulti porta però grandi frutti: i laici che terminano il cammino catecumenale prestano con impegno il loro servizio in comunità diventando promotori di numerose conversioni.

Cosa serve oggi per una testimonianza efficace?

Intanto, non bisogna idealizzare troppo la missione. Il mio professore Silvano Fausti diceva che “se un missionario è un asino, con la macchina, fa ancora più danni”. Può sembrare una battuta, ma è la verità. Il missionario – preso dalle faccende di ogni giorno – rischia di correre da un posto all’altro, cadendo anche lui nella trappola del fare. Per una testimonianza vera bisogna essere testimoni autentici dell’incontro con il Signore, consapevoli che la nostra missione spesso ha successo nonostante noi (come insegna il libro di Giona). Il missionario è solo uno strumento. Vi racconto una breve esperienza. Una mamma cinese era arrivata a sparare al marito perché questi l’aveva tradita. Per fortuna sbagliò la mira. Il giorno stesso questa mamma trovò una chiesa e, rapita dal canto, vi entrò e quel giorno cominciò il cammino di conversione, anche grazie al dialogo con il missionario di quella Chiesa. Oggi questa mamma è formatrice del gruppo dei catecumeni della sua comunità. Questa storia insegna molte cose sulla missione. Avere un cuore missionario: ecco il segreto della missione. Non serve necessariamente viaggiare per vivere la missione. La missione è quella che ciascuno vive anzitutto nell’ordinarietà della vita: si comincia con l’amare il fratello e la sorella che si ha accanto.

Sei ancora innamorato del Signore dopo tanti anni? Non ero mai stato in ospedale durante la missione. Ci sono entrato due volte, tornato dalla missione in Asia. L’ultima volta che sono andato in ospedale mi hanno trovato un tumore linfatico. Un giorno, mentre ricevevo la comunione, chiesi al Signore che fosse fatta la Sua volontà. Mi fecero poi gli accertamenti del caso: la febbre era sparita e il male scomparso. Anche grazie a questa esperienza, ancora oggi sento viva la presenza del Signore nella mia vita.

Gruppo GAMIS

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