Come di consueto, la comunità del Seminario inaugura i tempi forti dell’anno con un momento di ritiro: occasione di silenzio, di ritorno e di nuova partenza. Il ritiro di cui vogliamo raccontare si apre, dunque, la sera di venerdì 4 marzo con le parole della preghiera di San Francesco d’Assisi Lodi di Dio Altissimo. Il testo non suona nuovo alle orecchie dei più; meno nota, invece, è la vicenda umana che precede la sua stesura da parte del poverello di Assisi. Proprio l’esperienza di Francesco, che incontriamo in alcuni suoi scritti, ci accompagna in questi giorni nella contemplazione dell’amore di Dio che raggiunge l’uomo, raggiunge la mia umanità, laddove con coraggio e umiltà riconosco la fragilità di cui sono fatto e la metto a disposizione di Lui. Fragilità è stata, infatti, la parola chiave scelta da fra Roberto Rossi Raccagni, provinciale dei cappuccini nel Nord-Ovest d’Italia e nostro “vicino di casa”, per guidare questo avvio di Quaresima. Si tratta dunque di scoprire come l’umiltà e la fragilità per Francesco sono diventate spazio di grazia.
In un passo del Testamento (1226), Francesco fa memoria di un incontro iniziale, lontano nel tempo, che ha segnato la più grande svolta della sua vita e sempre è rimasto paradigma vivo di ogni scelta. Si tratta di un incontro duplice, prima con i lebbrosi, poi con il crocifisso di san Damiano. Le biografie spesso si dilungano nel definire questo momento come l’origine della missione di Francesco, ma la missione non nasce da un impegno ricevuto: nasce, invece, dall’incontro con la misericordia, dall’essere guardato dalla misericordia. Questi due incontri smascherano una vita piena, ma insoddisfatta: di fronte a quella fragilità, Giovanni – il nome al secolo del figlio di Pietro di Bernardone – scappava. Paradossalmente, Francesco trova la vita nel momento in cui smette di cercarla egoisticamente, quando accetta di perderla. La fragilità rappresenta così la Via alla Verità e alla Vita: alla verità su chi è l’uomo e alla vita vera che è la misericordia di Dio che lo raggiunge.
L’esperienza della fragilità per Francesco continua nel travaglio di una vita vissuta nel desiderio di Dio, tra l’incomprensione degli stessi confratelli dell’Ordine, anche quando quel Dio sembra essersi allontanato, ritirato nel silenzio. In un momento particolarmente difficile, al tramonto della sua vita, Francesco riceve il dono delle stimmate, la consolante certezza della prossimità del Signore, ed esulta con le parole del cantico delle creature. Proprio allora, il richiamo di quell’antico incontro riporta Francesco a una semplicità iniziale che corrisponde alla libertà di spogliarsi ancora una volta di ogni cosa. Così Francesco racconta all’amico di sempre, frate Leone, in che cosa consista la perfetta letizia. In questa esperienza di una fragilità visitata e salvata dall’amore di Dio, anch’io posso accorgermi fino a che punto sono amato gratuitamente da Colui che ha voluto assumere la mia fragilità, per portarla in Dio. La croce, infatti, parla a noi con la stessa contemporaneità che ebbe per Francesco: ci rivela un Dio che ama la nostra fragilità.
Il ritiro continua con altri testi che mettono a fuoco la fragilità di Francesco nell’ambito delle relazioni umane, fino all’accoglienza dell’estrema fragilità che è la morte. Ci accorgiamo come riconoscere il nostro poco e la grandezza dell’amore di Dio che lo riempie è la via per una nuova moralità: se Cristo ha amato il mio limite, posso convertire il mio sguardo circa il limite del fratello. Nella misericordia che mi ha amato, ho la forza per accoglierlo, per non scandalizzarmi, cioè per non sentirlo estraneo. Ci auguriamo che questo tempo di Quaresima possa essere percorso – per la nostra comunità e per voi che ci accompagnate con la vostra amicizia – come autentico cammino di liberazione e di semplificazione, verso la perfetta letizia, verso la Verità della Vita.
Stefano A.